Vita da legionario. Recensione di Felice Laudadio per Sololibri
27 Aprile 2024

Dopo neanche due mesi dall’arruolamento, le reclute guadagnano il diritto di indossare il Kepì bianco, che distingue orgogliosamente i militari della Legion, il mitico corpo volontario. Sono settimane dure e precedono il resto dell’arduo corso di formazione dei soldati d’elite dell’esercito francese, ma con la stoffa giusta e tanta forza di corpo e di mente si può superare. Danilo Pagliaro l’ha fatto, nel 1994 ed è rimasto 23 anni e mezzo in servizio in uno degli undici Reggimenti des Etrangeres. Ha raccontato la lunga esperienza in una specie di romanzo dal vero, scritto con la collaborazione del giornalista Alessandro CipollaVita da legionario. Un italiano nella legione straniera, pubblicato l’estate scorsa da Diarkos, in nuova edizione pochi mesi dopo l’uscita a febbraio (Santarcangelo di Romagna, luglio 2023, collana Società, 332 pagine).

Nella Legione straniera francese, Danilo Pagliaro era il legionaire Perrini, 1° Reggimento di Cavalleria, fino al grado di brigadier-chef, sottufficiale. Alessandro Cipolla, giornalista pubblicista, ha collaborato con diversi quotidiani e mensili per gli esteri e la difesa. È stato addetto stampa del sottosegretario agli Esteri delegato al Medio Oriente e all’Africa. Ha svolto il servizio militare come ufficiale di complemento. Collabora con il mensile “Raids Italia”.
Nel corso della remise du Képi blanc, una breve, semplice, ma indimenticabile cerimonia in un paesino della campagna francese, l’engagé volontaire nella Legione straniera mette per la prima volta il caratteristico berretto del Corpo. Questo ne fa un legionario a tutti gli effetti, tutto sommato dopo pochi giorni dei cinque anni di ferma minima previsti. Non male per lo scarto del mondo, come gli istruttori chiamano i volontari. In realtà tra loro ci sono laureati e gente che parla tre lingue, però nella Legione straniera si va sul concreto, diritti al punto. Più che scarti, Danilo direbbe esclusi, che non hanno un posto dove andare-tornare o che per qualche motivo hanno perso nella vita e vogliono ricominciare.
La remise è preceduta da un’ulteriore sgrossatura, la marche (muscoli indolenziti, vesciche ai piedi, mancanza di sonno) e precede a sua volta altri mesi difficili di addestramento.
La marcia del Képi bianco comincia due giorni prima, da una fattoria in un territorio militare nella campagna francese, dove le reclute sono rimaste un mese, a gennaio, senza infissi e riscaldamento, acqua calda solo nei sogni. Dopo la marcia e la remise, la 3a Compagnia d’istruzione si scioglie e si ritorna al 4° Reggimento straniero di Castelnaudary, per proseguire l’istruzione di base.
Gli engagés volontaires sono accoppiati in “binomi”, uno dei due è francofono, così è più facile capire gli ordini e imparare il francese. Dove va l’uno, va l’altro, si completano. Il suo binomio era Edmond, un armadio a due ante dalla pelle ambrata, libanese, collo taurino e fisico da lottatore. Doveva avere una trentina d’anni. Perrini sette di più, sposato con Sophie.
Si marcia tutto il giorno in assetto tattico, ora sull’asfalto ora sulla terra ghiacciata, fingendo d’essere in un territorio non controllato e non amico. Quando si avvicina un veicolo qualsiasi, si cerca copertura gettandosi a terra, poi ci si rialza e si prosegue. Ogni ora, cinque minuti di riposo, senza mai togliere lo zaino dalle spalle.
Impegnativo? Come tutta la giornata tipo dell’engagè legionaire. Sveglia nella fattoria alle 3.15 del mattino. Una sera ogni tre, un gruppo ha il turno di sorveglianza notturna, durante il quale non si dorme. Ogni giorno, prima del pranzo e della cena, un aperitivo: due salite alla corda, cinque trazioni alla sbarra e quaranta flessioni. Vietato sedersi durante l’addestramento, cioè sempre (unico momento consentito, la lezione di lingua francese). Flessioni di punizione alla minima imperfezione nell’esecuzione degli ordini, da venti in su. Si può arrivare a sera con mille flessioni nelle braccia, oltre a piegamenti, addominali e corse sul crinale dietro la fattoria.
Danilo si era presentato alle porte della Legione a Marsiglia, centro di arruolamento di Fort Saint-Nicolas. Aveva bussato, firmato ed era stato portato dentro per le visite mediche e la selezione. Nell’installazione militare c’è un molo, gli arruolati vi si imbarcano diretti in Algeria.
Nel forte, vecchio più di trecento anni, ha compiuto gli stessi gesti e fatto lo stesso percorso di tutti, da quasi due secoli, ma nel suo caso c’erano dei cambiamenti in corso e venne spedito al centro di Malmousque. In quell’occasione lo rimandarono a casa, con la possibilità di ripresentarsi con un po’ più di allenamento. Aveva fallito il test di Cooper, un medico della Nasa: valuta la resistenza dell’individuo alla fatica e la sua condizione fisica. Si tratta di correre in una pista d’atletica per dodici minuti e si calcola la distanza percorsa secondo una tabella condizionata dall’età.
Decise di riprovare l’arruolamento a fine anno dicembre. E così è stato.
In caserma, mentre preparano il fascicolo personale, si attende in borghese in una stanza a sei letti. L’indicazione tassativa è di restare seduto o sdraiato sul letto, vietato andare in giro e soprattutto parlare.
Nella Legion la disciplina militare è rigorosissima. Vietato stringere la mano di un ufficiale, anche fissarne gli occhi. Si deve restare sul posto, in atteggiamento di rispetto. Gli è stata concessa una stretta solo alla viglia del congedo, da un aiutante capo, dopo ventitré anni e mezzo di Kepì blanc, un ciclo di servizio ONU in Bosnia e la prima Guerra del Golfo, due compagni d’armi saltati sulle mine, tanto fuoco nemico e tanta sofferenza, anche dei civili. Una vita parallela, sconosciuta ai più.

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