Strega, dal latino striga, a sua volta dal greco strix, volatile notturno che cacciava al buio e al quale venivano attribuite pratiche occulte nelle tenebre. Quando il termine è stato esteso alle persone che praticavano vaticini, incantesimi e magie, non aveva comunque connotati negativi, finché non è stata la religione ad attribuirli nel Medioevo e a renderli esclusivi. Difficile che qualcuno ne sappia sull’argomento più di Katia Bernacci; lo sostiene anche Massimo Centini, suo docente di antropologia culturale a Torino e attento prefatore del più recente prodotto della saggista, Stregoneria. Il fascino del male: le streghe tra storia, mito e persecuzione, pubblicato da poco da Diarkos, di Santarcangelo di Romagna (aprile 2025, collana Storie, 336 pagine).
Giornalista culturale, collabora con diverse testate e pubblica libri di saggistica e di storia. Si è distinta nello studio della scrittrice Carolina Invernizio, prima giallista italiana a fine Ottocento. È direttore editoriale della Yume e talent scout letteraria. Organizza eventi, partecipa a conferenze, è ricercatrice indipendente, divulgatrice e saggista culturale, analizza con passione e competenza i misteri della storia e non solo. Il suo credo è indagare nel passato per capire il presente; i suoi libri sono inviti a un viaggio nel tempo.
In questo testo, ricorda che già in epoca latina Apuleio, nelle Metamorfosi, aveva indirizzato verso il male il concetto di stregoneria, ma di certo la demonizzazione si è affermata con la persecuzione religiosa, esasperata dai sospetti alimentati dall’Inquisizione, confermati dalle confessioni estorte con la tortura. Da qui la tendenza a riferire le streghe al periodo storico della “caccia”, XI-XVIII secolo. Nel Novecento, però, la parola stregoneria ha finito per assorbire tutte le pratiche magiche, passate e presenti, arricchendosi di interpretazioni sociali e politiche inedite, legate ad esempio alla crescente rivendicazione dei diritti femminili. Sotto l’aspetto storico, sono affiorate vicende di vittime dimenticate e i cambiamenti epocali del costume hanno portato alcuni giovani, soprattutto, a cercare “nuove strade spirituali”, per sottrarsi a una società fondata sul consumismo esagerato.
La modernità, fa notare Bernacci, ha cambiato lo stesso significato di strega. Se per poco meno di un millennio è rimasta a indicare chi procurava il male attraverso pratiche magiche, il significato “si è ammorbidito” in tempi più vicini, fino a far cadere qualsiasi distinzione e avvicinarsi ad altre figure del passato, le maghe o le fate. Oggi è strega chi pratica arti magiche, senza declinazioni, negative o positive. Da giovanissima, l’autrice partecipava a cicli di conferenze sulla caccia alle streghe, nella chiesa di San Filippo Neri a Torino, riflessioni serie - ricorda il prof. Centini - tra storia e teologia. Se però l’interesse di Katia Bernacci per la stregoneria ha radici lontane, si allarga tuttavia dagli aspetti della repressione tout court all’intero universo “magmatico” femminile, “contesto sacralizzato, ma anche demonizzato”, da tempi lontanissimi.
A riprova dell’attenzione di Bernacci per tutte le varianti del muliebre, il saggio parte dalla religione/magia che ha caratterizzato il rapporto della donna con il soprannaturale. Un tema sconfinato, che sarebbe stato impossibile affrontare senza una scelta lucida ed efficace, sostenuta dalla grande naturalezza con cui l’autrice si muove in una materia vastissima. Ha preferito scorrere sinteticamente ma non convenzionalmente i momenti principali della stregoneria nella storia.
Sempre Centini aiuta a indicarli, sulla base delle fonti della caccia alle streghe: la stregoneria è una pratica antichissima; si lega alla magia e agli incantesimi; presuppone un legame col male, incarnato nel demonio; l’attività delle streghe è stata caratterizzata da pratiche magico-rituali, come i sabba, le trasformazioni in animali, il volo. Lo sguardo dell’autrice si allarga ad altri ambiti, alla psicopatologia, alle malattie mentali, agli effetti psico fisici della malnutrizione, a quelli della povertà endemica e delle condizioni disagiate di vita e d’igiene, individuale e collettiva. Non ultima, l’eventualità che visioni e presunte possessioni fossero indotte da sostanze stupefacenti o vegetali allucinogeni.
Nelle trentina di pagine riservate alle storie di streghe e stregoni, da Marta Fiascaris di Aquileia a Gostanza da Libbiano, spiccano vicende in Italia e in Europa. Tra quelle più note, le vauderie di Arras e la sorellanza stregonesca di Triora. Tra le meno conosciute, il caso delle streghe di Levone, in provincia di Torino. Nell’estate del 1474, l’Inquisizione istruì nel castello di Rivara un processo a carico di quattro donne, imputate di malefizi, incantesimi, “stregherie, eresie, venefizi, omicidio, prevaricazioni della fede” e familiarità con tre demoni. Cinquantacinque capi d’incriminazione, basati sulla testimonianza degli abitanti del paesino e dintorni. Coniugate o vedove, erano imparentate con una famiglia di eretici e avevano cessato ogni rapporto con la Chiesa. Due finirono sul rogo a novembre, in prato Quazoglio, nei pressi del torrente Malone. Non è certa la sorte delle altre. In certi atti, Bonveria risultava ancora in carcere nel 1475, ancora interrogata per la sua familiarità con il diavolo. Di Margarota ci sarebbero notizie di una fuga, che le avrebbe concesso di sottrarsi a ulteriori sofferenze.
Suggestivi gli spunti sulla rappresentazione della strega nella cultura, nelle arti, nella letteratura e da ultimo sul grande e piccolo schermo. Giustamente, Centini sottolinea l’interessante sguardo lanciato a realtà extra europee in cui la caccia alle streghe non solo non è mai avvenuta - o è stata poco significativa - ma la stregoneria è ancora presente.
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