"Miti, storie e leggende " di Armando Savini. Intervista all'autore su Letture.org
28 Ottobre 2020

Prof. Armando Savini, Lei è autore del libro Miti, storie e leggende. I misteri della genesi dal caos a Babele edito da Diarkos: come si è articolato storicamente il dibattito scientifico sulla natura del mito?
Da Omero ad oggi, si sono avute diverse definizioni del mito. In greco mythos vuol dire «discorso, narrazione», dunque, un racconto dei tempi antichi. Tale definizione, però, comincia ad evolversi già in Platone, per cui il mito è un racconto che ha a che fare con gli dèi, la loro genesi (teogonia) e le loro gesta, per poi indicare ciò che si accetta come vero senza alcun bisogno di ricorrere ad una argomentazione razionale (logos). C’è poi chi ha visto nel mito un racconto fantastico, privo di fondamenta storiche, un racconto allegorico per descrivere fatti realmente accaduti o il prodotto della psiche collettiva, nel senso di un complesso universale di immagini primordiali o archetipi dell’inconscio collettivo o “psiche oggettiva”. Credo, però, che la migliore definizione di mito sia quella che ne dà Eliade, per cui «ogni mito, indipendentemente dalla sua natura, enuncia un avvenimento che avvenne in illo tempore», esprimendo «plasticamente e drammaticamente quel che la metafisica e la teologia definiscono dialetticamente». Si tratta, dunque, di un racconto che descrive una realtà metastorica. Molto interessante è anche la definizione offerta da Tolkien, secondo il quale «come parlare è un’invenzione riguardante oggetti e idee, il mito è un’invenzione a proposito della verità». I miti, per quanto imperfetti, riflettono un minimo di verità, «una scintilla della luce vera». Essi sono fatti di «verità», che presentano «aspetti della verità che possono essere recepiti solamente sotto questa forma».

 

Qual è l’origine del mito biblico?
Sull’origine dei miti non sappiamo nulla. I miti ci sono dagli albori del tempo. Quando siamo arrivati su questa terra, erano già qui e molto prima di noi. Probabilmente la culla del mito fu Šumêr. Sarebbe questo il contesto psicologico e linguistico-culturale da cui derivarono i miti. Credo che per quanto riguarda i miti biblici valgano le ultime definizioni sopra riportate. Il mito biblico non è una storiella inventata per mettere a nanna i bambini, come potrebbero essere le favole di Esopo alla sera. Il mito biblico non può e non deve essere inteso come un racconto fantastico e antistorico bensì come un racconto sacro di eventi primordiali, indirizzato all’uomo del suo tempo per la sua edificazione morale. Si tratta, dunque, di un racconto fondato, benché non possa soddisfare i criteri di uno storico moderno. Questo perché il tempo primordiale è tutt’altra cosa rispetto alla realtà quotidiana, la quale, benché possa estendersi indietro nel tempo, rimane sempre all’interno della sfera umana, dove c’è ancora qualche traccia più o meno definita del nostro essere qui. I primi undici capitoli della Genesi rientrano nella parte “mitica” in quanto narrano di eventi accaduti quando ancora l’uomo non c’era. Per tale motivo sono ritenuti rivelati. Se leggiamo, infatti, il Libro dei Giubilei, scopriamo che fu l’«angelo della faccia», cioè, l’angelo che sta sempre al cospetto di Dio, che spiegò a Mosè come Dio creò i cieli e la terra. Il mito in questo senso è il prodotto di un’esperienza mistica, una narrazione religiosa, che nasce dall’incontro dell’uomo con il soprannaturale.

 

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