Sai cos’è… l’Isola di Wight - Jam Tv
24 Gennaio 2024

Guido Michelone e il suo nuovo libro sullo storico festival

 

Docente di Storia della musica afroamericana all’Università Cattolica di Milano e di Storia della popular music e di Storia del jazz al Conservatorio Vivaldi di Alessandria, Guido Michelone è un’autorità nella divulgazione del jazz in Italia. Negli anni tuttavia ha avuto modo di raccontare anche le vicende di Beatles, Clash e Fabrizio De André, e negli ultimi tempi con Diarkos ha scritto dei Rolling Stones. Con l’editore emiliano ha da poco pubblicato un nuovo libro sull’Isola di Wight: incontriamo il professore per parlare dello storico festival.

 

Solitamente si pensa a Monterey come primo storico raduno rock, a Woodstock come vetta, tu invece presenti Wight come “il primo grande festival rock”, come mai?

In realtà la mia intenzione primaria era in riferimento all’Europa, perché già la seconda delle tre edizioni originali di Wight, quella del 1969, si poneva e si imponeva come punto di riferimento per la nuova cultura giovanile sul Vecchio Continente, dove già da un lustro dettava legge il rock inglese (Beatles e Rolling Stones in testa). Ma ‘grande’ ha per me anche un’accezione di omnicomprensivo, cosa che i festival americani (Monterey e Woodstock) forse non hanno, troppo presi dall’esaltare il sound popolare a stelle-e-strisce con qualche significativa eccezione britannica (sempre divistica). Wight invece tentava di fare il punto della situazione sull’intero fenomeno pop-rock mondiale.

 

Wight non è solo la storica edizione del 1970, ha avuto un passato e ha anche un lungo presente. Partiamo dalle due prime edizioni: per cosa sono passate alla storia quelle del 1968 e 1969?

Per limitarci a due soli esempi, la prima ha fatto conoscere i Jefferson Airplane in Europa, perché, ancora imbevuti della Swingin’ London, tutto il San Francisco Sound era conosciuto da noi solo per una canzone di Scott McKenzie (che peraltro era di Jacksonville) con la sua “If you’re going to San Francisco, be sure to wear some flowers in your hair”. Wight 1969 vede invece il ritorno in scena di Bob Dylan a tre anni dell’incidente motociclistico: un Dylan molto cambiato, che sembrava quasi celebrare se stesso, come poi ha fatto nei successivi 54 anni…

 

Wight 1970. Basta citare Who, Jimi Hendrix e Doors per avere un’idea di cosa accadde su quel palco. Per l’appunto: cosa accadde?

Accadde ‘di tutto e di più’, per usare uno slogan pubblicitario. Qualcuno addirittura racconta di aver visto sul traghetto che dalla Francia portava a Wight alcuni giovani partecipanti armati di lunghi coltelli, intenzionati a usarli per ‘combattere il sistema’. A livello di pubblico c’era una minoranza, appunto francese, ma anche tedesca, scandinava e britannica che, sull’onda della contestazione sessantottina più estrema e facinorosa, aggrediva verbalmente gli artisti accusandoli di essere borghesi o venduti allo show business. Per americani come Joni Mitchell e Kris Kristofferson fu un trauma, per fortuna qualcuno come Joan Baez e Leonard Cohen riuscì a placare le acque. Nel film – tratto dal festival – Message To Love si vede una tipologia di provocatore che passerà direttamente il testimone agli autonomi italiani con le tristemente celebri autoriduzioni o con le molotov ai concerti o con il dare del ‘fascista’ a molti jazzmen presenti ad esempio a Umbria Jazz a metà Seventies.

 

Da uomo di jazz ricorderai sicuramente l’apparizione di Miles Davis. Che tipo di performance portò sul palco dell’isola?

Di Miles in marzo era uscito Bitches Brew, doppio LP seminale, registrato con diverse formazioni; il trombettista si trovò costretto a mettere in piedi una nuova band (con due tastieristi: Keith Jarrett e Chick Corea) più sassofono, basso, batteria, percussioni. Volle improvvisare circa mezz’ora di jazzrock o jazz elettrico come si definiva allora e a chi gli chiese il titolo di questa performance (tra l’altro pomeridiana, ma molto applaudita dagli hippies presenti) rispose semplicemente: “Chiamala come vuoi”, che poi (Call it anything nell’originale) divenne davvero il titolo di un pezzo memorabile (mai più suonato né su album né ai concerti) che fra l’altro conteneva frasi di The Theme, It’s About That Time, Directions, Spanish Key, Sanctuary.

 

A proposito di isola, in un periodo così denso di utopie e istanze di rinnovamento la natura della location avrà avuto una simbologia ben precisa. Possiamo pensare all’isola come luogo di ritiro di una intera generazione?

A parte Dylan, che fu convinto a partecipare perché a Wight visse uno dei suoi poeti preferiti (Alfred Tennyson), l’isola era una località borghese, forse non come Capri ma paragonabile per esempio all’isola d’Elba, non come le Lipari che negli anni Settanta erano meta di tanti fricchettoni prima di diventare trend e chic. Diciamo che il tema dell’isola da sempre affascina il mondo giovanile (immaginario di tanta letteratura fantastica e avventurosa, soprattutto inglese) e il tema della natura selvaggia (e tale si presentava Wight in alcuni scorci) era il più gettonato dai giovani capelloni (compresi quelli americani della Woodstock generation) in chiave ovviamente ecologica e ambientalista.

 

Nel 2002, con Robert Plant e i Charlatans come headliner, Wight torna in auge, ma con quali caratteristiche?

Con un’idea di dare continuità – anche dopo un trentennio – e al contempo differenziazione a quello che in origine, come sempre, era un progetto utopistico, benché per molti versi naufragato. I tempi erano cambiati e il rock era cambiato (soprattutto dal punk in avanti), ma soprattutto il pubblico del rock. Si arriva quindi da un lato al compromesso di fare suonare le vecchie glorie ancora in auge o di far riformare band sciolte da anni, lustri, decenni (ad esempio i Fleetwood Mac originali di Rumours); dall’altro si accontentano i giovani con gruppi e cantanti del momento, spaziando dal rap al brit-pop.

 

Negli ultimi vent’anni Wight ha ospitato giganti di vario genere, da David Bowie ai REM, dai Rolling Stones ai Depeche Mode. Che tipo di isola rock è questa della contemporaneità?

Il Wight Festival del XXI secolo è per tanti versi uguale ai molti altri presenti nel Regno Unito, in Europa, nel mondo: ormai si svolge su diversi palchi in differenti location per tutti i gusti insomma. Ma piace sapere che ogni anno ci sarà una grossa star giovane o sempreverde accanto a una band ‘storica’ (e per storica ormai ci sono già gli anni Novanta, difficilmente qualcosa dei Sixties, ma ‘mai dire mai’) in un cartellone accanto agli habitué e ai nuovissimi idoli del pop e del rock. Nel luglio scorso c’erano eroi degli anni Novanta e Zero Prodigy, Pet Shop Boys, Green Day, ma anche Simple Minds e Toyah (qualcuno se la ricorda?), persino The Beatles Bootleg, la miglior tribute band dei Fab Four, ‘in mancanza’ di quelli veri ormai ridotti, da un quarto di secolo circa, a due quarti…

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